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martedì 14 gennaio 2020

#TuttoilCalcio60 Un compleanno con Livio Forma nel cuore

Marco D'Alessandro per #tuttoilcalcioblog
Ameri e Ciotti, così come Pelè e Maradona. Il dualismo eterno su chi sia il più grande tra i più grandi in ogni ambito mai si risolverà e sempre dividerà. Le due voci più grandi rieccheggiano più di tutte le altre in questi intensi giorni del Santo Natale della più meritoria delle trasmissioni (la citazione è di Indro Montanelli). Oggi fanno bella mostra l'eredità di Riccardo Cucchi, sempre con le parole giuste al posto giusto, poi l'esuberanza del ciclone Francesco Repice (e purtroppo dei suoi troppi fanatici da tastiera che ne stanno pericolosamente gonfiando e deformando la figura).
Poi ci sono le emozioni personali, i propri beniamini della propria squadra del cuore che non devono obbligatoriamente coincidere con chi campeggia sul gradino più alto del podio e il superlativo assoluto associato a quel nome e cognome. Ho voluto celebrare intimamente il 60° compleanno, in quei ritagli di tempo libero, usufrendo dell'archivio personale di registrazioni, di montaggi e sintesi, per ascoltare e riascoltare ancora i racconti, come fossero gli album preferiti. Radiocronache in successione come fosse “The Division Bell” dei Pink Floyd. L'emozione sale di parola in parola, la pelle s'accappona tra il più lungo dei “reteeee!” ameriani (l'urlo di Marco Tardelli, forse) e il “siamo nel minuto che intercorre tra il sedicesimo e diciottesimo” di ciottiana memoria, passando per le storie recenti di Riccardo Cucchi che decanta le gesta di Alessandro Del Piero, per Emanuele Dotto che segue una cavalcata di Carlitos Tevez in Juventus-Parma 7-0, per Massimo Barchiesi che racconta il salto di Cristiano Ronaldo a Marassi, per Manuel Codignoni che scandisce la vittoria memorabile della Ferrari di Charles Leclerc nel Gran Premio d'Italia a Monza. Quest'ultima, la più forte delle emozioni vissute personalmente negli ultimi anni: sia per l'impresa sportiva, sia per come è stata raccontata.
Ma poi aprivo quei file che rompevano definitivamente l'argine, abbattevano i limiti della malinconia precedentemente sfidati e il moscerino mi entrava nell'occhio. Si trattava di quell'audio dove la voce parlava per “coloro che si fossero posti davanti ai diffusori in questo momento”. Quello è il timbro di Livio Forma e non resisto più al cospetto del mio radiocronista preferito.
Vorrei cavalcare l'onda dei festeggiamenti per ricordarlo indegnamente nel mio piccolo, non essendo lui riuscito a tagliare il traguardo del Sessantesimo. Anche perché non si è trovato spazio nemmeno per una citazione, nelle celebrazioni che ci siamo gustati. Può capitare, il romanzo di Minutoperminuto è infinito, d'altronde. Anche se spezzettare ripetutamente il filo narrativo, nella serata della festa di Via Asiago, è stata una scelta discutibile.
In occasione della Domenica del Cinquantesimo, dalla cabina di Udine, approfittò del suo primo intervento per salutare Alfredo Provenzali (“l'unico più anziano di me”) e per ricordare gli ascoltatori non vedenti. Un messaggio vero e non di circostanza, suffragato dai fatti e dalla cifra delle sue radiocronache. Si capiva che stava raccontando le partite prima di tutto a chi non ne fosse in visione. Rispettava l'ascoltatore. Descriveva quello che vedevano i suoi occhi.
Il suo stile era riconoscibile anche truccandogli il tono della voce o scambiandone l'accento da settentrionale a meridionale. Le sue parole, il suo lessico, il suo ritmo mai troppo frenetico ma mai lento, la capacità di fotografare ogni zona del campo, la dote della sintesi: sapeva descrivere l'azione del gol già all'interno del flash d'interruzione, senza lungaggini.
A proposito di annunci, uno dei miei ricordi più ruggenti non può prescindere da una Domenica, quella del 21 Aprile 2002. I residui progetti di scudetto per i bianconeri che stanno lentamente scivolando via in uno zero a zero piatto, a Piacenza. Mentre l'Inter del Fenomeno Ronaldo, al Bentegodi di Verona, sta espugnando il campo del Chievo e scappando via. Bloccata alle reti bianche anche la Roma, seconda in classifica, a San Siro contro il Milan. Battute finali, ormai. Arriva un boato proprio ad interrompere Bruno Gentili da Milano. Dalla veemenza, sembra quello di un pubblico casalingo. Anche i decibel del cronista si adeguano, alzandosi: “Grandissimo gol di” - ecco, lo sapevo, è Piacenza, è la voce di Forma, è un tono alto, è finita, era anche nell'aria - “Nedved! Di controbalzooo!". Grandissimogoldinedved, attimi, frazioni di istanti, alla Radio è una vita. Una storia che cambia. L'Inter poi riacciuffata dal 2-2 del Chievo dei miracoli, sul campo principale di Riccardo Cucchi. La Juve che passa dal terzo posto a -5 dall'Inter capolista, al secondo posto ad una sola lunghezza di ritardo. Magia.



Rimango affezionatissimo e rimpiango Livio Forma per la semplicità che trasmetteva: lo ascoltavo e mi sentivo a casa, protetto, in mani sicure, riusciva a non aggiungere l'ansia sull'ansia che, di base, suscita una partita di calcio che oltretutto non si può vedere, ma nella quale si è emotivamente coinvolti. Magari i mostri sacri avevano quel qualcosa in più che li ha resi i maestri ineguagliabili, eppure la voce di Forma era quella che più di tutte desideravo alla partita della mia squadra. Non mi è andata male, capitava e spesso da quello “Stadio Delle Alpi di Torino” che riusciva a far sembrare meno scomodo di quello che effettivamente era: i giocatori piccoli, lì, dalla tribuna, l'Avvocato Agnelli non li vedeva. Io invece si, con Livio Forma alla Radio. Aveva il potere di essere rassicurante. Leggero. Capace di emozionare senza dover ricorrere agli strilli. Sapeva esaltare il gesto tecnico all'interno del grande palcoscenico senza doversi strappare i capelli, sgolarsi, stracciarsi le vesti, forzare un copione. Oggi, un gol decisivo ed eccezionale di un fuoriclasse in un supplementare di Coppa dei Campioni, è legge raccontarlo perdendo la trebisonda. Livio, invece, lo sapeva narrare così.



Conosceva il gioco del calcio, avendolo praticato. Imposta un tema offensivo, giocatori che vanno ad ammassarsi nell'area di rigore, parte un traversone d'interno destro con parabola a rientrare, palla che supera tutto lo specchio della porta, stacco di testa a centroarea o pallone in fallo laterale che finisce nel campo per destinazione. Lontano dalle definizioni moderne e sgrammaticate come attaccare lo spazio o fare la partita. Semmai, una squadra teneva il comando delle operazioni.
Rispettava gli arbitri: lo ricordo, quando lì definì degli esseri umani che possono sbagliare e che bisognerebbe parlare meno, giocando di più. L'evento lo accompagnava, non lo travolgeva, non lo invadeva, nel racconto entrava in punta di piedi.
Una voce tenera e buona come il pane. Mi ricorda l'immagine del campione silenzioso e schivo, quello a cui probabilmente le cerimonie non lo avrebbero mandato in solluchero. Antidivo, lontano dai riflettori. Quello per cui la notizia della scomparsa, irruppe all'interno di una radiocronaca di Europa League o di una Domenica Sportiva di Sandro Ciotti. Una figura mai premiata da un Pallone d'Oro del quale non avrebbe comunque avuto il minimo bisogno per valorizzarne l'immensità. Se quella umile di Gaetano Scirea è la figurina bianconera che più di ogni altra mi fa vibrare, il microfono a Livio Forma è la colonna sonora del mio pallone ideale.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Commento da pallone d'oro. Vero sincero e commovente come è stato in molte occasioni Livio Forma. Spiace che non sia stato nemmeno menzionato. Per carità, servirebbero ore per dare spazio a tutti. Però, una citazione era d'obbligo a parer mio. Saluti e ancora complimenti a voi, Antonio

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