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mercoledì 3 marzo 2010

Un passo nella storia - Episodio 13

Sandro Ciotti è stato intervistato molte volte durante la sua carriera, ma quella che vi propongo oggi è un'intervista diversa dalle altre, perché porta a galla anche gli aspetti più privati e intimi del celebre radiocronista. Ci fa capire che dietro un personaggio pubblico, a volte mitizzato, c'è un uomo come noi, con i suoi problemi, le sue debolezze. E' stata pubblicata sul settimanale Gente il 27 giugno 1996 a firma Marilù Simoneschi.

Sandro Ciotti: "Sono diventato uno scapolo a vita dopo due cocenti delusioni d'amore"

La sua voce roca ha accompagnato le domeniche degli sportivi per ben 38 anni. Sandro Ciotti, domenica 12 maggio, al termine di Tutto il calcio minuto per minuto, la trasmissione radio in cui vengono commentate le partite, ha salutato il pubblico comunicando che quella era stata la sua ultima radiocronaca. Nei giorni seguenti è stato subissato di telegrammi: amici dello spettacolo, colleghi, giornalisti, conoscenti e anonimi ascoltatori gli hanno manifestato affetto e simpatia, esprimendo un pizzico di rimpianto perché avevano perso quel suo modo davvero speciale di commentare le partite alla radio. Lui, infatti, unisce un'altissima professionalità a una straordinaria capacità dialettica che gli hanno permesso di far vivere per tanti anni agli sportivi italiani incalliti alla radio ciò che accadeva sui campi di gioco. Siamo andati a trovare Sandro Ciotti nella sua bella casa, piena di libri e di ricordi.
"Sono nato a Roma il 4 novembre del 1928", comincia Ciotti. "Mio padrino di Battesimo e Cresima è stato Trilussa, grande amico di papà e suo collega: infatti erano entrambi collaboratori de Il Settebello, un settimanale satirico poi chiuso dalle autorità fasciste. Mio padre ha rappresentato la figura centrale della mia infanzia, la sua apparente rudezza nascondeva una generosità d'animo non comune. Aveva conquistato mia madre Margherita, bellissima ragazza della buona borghesia romana, vogando atleticamente sotto ai suoi occhi, mentre lei su uno dei campi da tennis posti sulla riva del Tevere, era intenta a giocare con degli amici. La palla le cadde in acqua e lui avvicinandosi con la barca gliela recuperò. Così nacque il loro amore, a dispetto dell'avversione dei genitori di lei, che consideravano un canottiere un inaffidabile esibizionista, che dava scandalo".
Lei ha tre sorelle.
"Sì, ero l'unico maschio in famiglia, arrivato dopo Gioia e Letizia, mentre 8 anni più tardi si sarebbe aggiunta una quarta figlia: Serenella. Rappresentavo dunque per papà fonte di autentico orgoglio. Sia lui sia mia madre hanno saputo educarci con un'apertura mentale non consueta in quel tempo. Io, per esempio, avevo 11 anni quando mi consegnarono le chiavi di casa, responsabilizzandomi su quelli che erano i miei doveri e i miei diritti e posso dire di non avere mai tradito la loro fiducia. La serenità che regnava in casa nostra però fu bruscamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale. Papà, che aveva combattuto la Grande Guerra del 1915-18, fu richiamato sotto le armi con il grado di maggiore. Inizialmente restò a Roma con l'incarico di capo-ufficio stampa dello Stato Maggiore, poi nel 1942 partì per la terribile campagna di Russia. Da quel momento mi sentii responsabilizzato verso la mia famiglia: infatti ero l'unico uomo rimasto in casa. Io ero ancora un ragazzino e da circa un anno avevo cominciato a giocare a calcio nella squadra giovanile della Lazio. Il mio sogno però era quello di diventare giornalista o musicista. Due anni dopo, nel 1944, papà tornò a casa dalla guerra. Ma la sua presenza in casa, tra noi, durò poco. Solo un anno dopo, infatti, papà ci abbandonò a causa di una terribile disgrazia".
Può raccontarci che cosa successe?, domandiamo a Sandro Ciotti.
"Una mattina eravamo andati in canoa insieme con altri vogatori. Volevamo navigare lungo il Tevere e raggiungere la foce dell'Aniene. Quel giorno il fiume era in secca e fummo costretti a scendere e a trascinare la barca per un tratto. Papà accidentalmente si graffiò uno stinco con lo scalmo di un remo. Trascorsero alcune ore e, improvvisamente, iniziò a sentirsi male. Mi disse: "Sandro, portami a casa, non ce la faccio più a remare". Arrivati a casa ci accorgemmo che aveva la febbre altissima e che si era gonfiato in tutto il corpo. Chiamammo subito un medico che lo visitò. La diagnosi fu tremenda: aveva contratto il morbo di Veil, un'infezione che si trasmette attraverso le feci del topo. Quel graffio allo stinco, in cui era penetrata l'acqua infetta, gli era stato fatale: 48 ore dopo, infatti, mio padre spirò. Il dolore fu straziante per tutti".
Quali sono stati gli insegnamenti che suo padre le ha trasmesso?
"La lealtà e il senso dell'onore, quello che ti fa mantenere gli impegni assunti. E poi l'amore per la scrittura, la lettura".
Come è entrato nel mondo del giornalismo?, domandiamo.
"Ho cominciato nel 1950 a collaborare, a soli 22 anni, con La Voce Repubblicana, quotidiano allora diretto da Alberto Ronchey. Scrivevo e, contemporaneamente, giocavo a pallone con ottimi risultati. Prima con la Lazio, poi passai con il Forlì e, successivamente, con l'Ancona, dove sarei rimasto fino a 28 anni".
Quando arrivò in Rai?
Un paio d'anni più tardi, nel 1958, entrai alla Rai come critico musicale. Il mio primo incarico fu quello di inviato al Festival di Sanremo che fu vinto quell'anno da Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu".
Com'è passato da critico musicale a fare il radiocronista sportivo?
"Nel 1960 la Rai varò una trasmissione satirico-musicale sullo sport che si chiamava K.O. incontri e scontri sulla settimana sportiva e andava in onda il lunedì alle 13. Mi chiamarono per affidarmi la conduzione, dopo un esordio non proprio felice e subito si verificò un grande successo di audience. Poi arrivarono le Olimpiadi di Roma. La Rai aveva bisogno di giornalisti per coprire molte ore di trasmissione e così mi assegnarono allo sport. In occasione delle Olimpiadi commentai la prima partita importante: fu la finale Jugoslavia-Danimarca giocata allo stadio Flaminio di Roma. I responsabili dell'azienda mi dissero che avevo fornito un'ottima prova, e così mi dirottarono definitivamente alle cronache calcistiche. Ricordo che molti ascoltatori, allora, mi inviarono anche delle lettere esprimendo i complimenti per la mia bella voce".
Era una voce diversa da quella che conosciamo ora?
"Sì. La mia voce irrimediabilmente roca è frutto di un "incidente sul lavoro" che mi capitò otto anni dopo. Ero in Messico per le Olimpiadi del 1968. Un giorno commentai per molte ore in diretta le varie gare, sotto una pioggia scrosciante. Andai a dormire stremato, con un dolore fortissimo alla gola, ma pensai si trattasse di un banale raffreddamento. Al mattino mi svegliai con la voce rauca. Cominciai a curarmi, ma passavano i giorni e la voce non tornava alla normalità. Quando rientrai a Roma mi feci visitare e il medico mi disse che avrei dovuto sottopormi a un intervento chirurgico allora giudicato non privo di rischi. Non me la sentii di affrontarlo e continuai a lavorare con la mia nuova voce. Temevo il licenziamento, invece la singolarità di questo timbro vocale mi ha regalato solo popolarità".
Passiamo a un altro argomento: la sua vita sentimentale. Lei non è sposato e non ha mai esibito in pubblico fidanzate, come mai?
"E' stata, in qualche modo, la vita a scegliere per me, impedendomi, per varie vicissitudini, di crearmi una famiglia. Comunque, ho avuto delle storie sentimentali. Il mio primo grande amore è stato una bruciante delusione, forse determinante nelle scelte che ho fatto in seguito. Risale al 1947. Io allora avevo 19 anni e lei 17. Si chiamava Lilian. La conobbi in Val Pusteria, durante una vacanza in montagna. Era bellissima e apparteneva a una famiglia miliardaria. Cominciammo a vederci di nascosto dai suoi, contando sulla complicità del suo cuoco che riceveva a suo nome le mie lettere. Ci amavamo e io, per poterla vedere anche solo mezz'ora, affrontavo lunghissimi e disagevoli viaggi in treno. Quando suo padre ci scoprì successe il finimondo: io, infatti, non rappresentavo per lei quello che si dice "un buon partito", ero giovane, spiantato, e per di più calciatore. Eravamo fidanzati segretamente già da due anni quando suo padre, con un atto di forza, la mandò in un collegio svizzero. Nel nostro ultimo drammatico incontro le proposi di ribellarsi a quell'imposizione e di sposarmi, ma lei non se la sentì di voltare le spalle alla sua famiglia. Provai davvero un senso di disperazione quando capii che l'avevo persa sul serio: infatti ero legato a lei da un sentimento fortissimo".
Dopo di allora ha avuto altre storie?
"Sì, ma sono state storie leggere, mai impegnative. Molti anni dopo invece ebbi la sfortuna d'innamorarmi ancora della donna sbagliata. Era una signora bella e infelice, ingabbiata in un matrimonio senza più amore, negli anni in cui il divorzio era ancora un'utopia. Lei aveva dei figli e io cominciai a desiderare fortemente che dai nostri incontri clandestini scaturisse una gravidanza: sapevo che un bambino l'avrebbe spinta a rompere ogni indugio. Purtroppo quel figlio non arrivò".
Quanto tempo siete rimasti insieme?
"Siamo rimasti insieme per 8 anni, poi, prendemmo atto della fine di quel rapporto e ci lasciammo da buoni amici, provando però l'amarezza di non aver saputo vivere pienamente e apertamente una bella storia d'amore. A quel punto mi ero troppo affezionato alla mia libertà per pensare ancora al matrimonio. Inoltre il lavoro è stato un altro impedimento in tal senso. Infatti, allora trascorrevo la maggior parte dell'anno lontano da casa, in giro per il mondo".
Attualmente lei ha una compagna?
"Sì, sono legato a una donna che, però, non vive con me. Abita al Nord, nei pressi di Milano. La nostra relazione dura ormai da alcuni anni e può essere definita un'intesa serena e appagante, rafforzata da un'identità di gusti e di aspettative. Siamo entrambi felici della nostra indipendenza e, ogni volta che ci vediamo, proviamo sempre un piacere rinnovato, sentiamo il gusto di progettare al meglio le ore da trascorrere insieme".
Ha mai pensato di sposarsi?
"No. So di avere una scarsa vocazione per la vita di coppia e, inoltre, ho un forte attaccamento a un bene che considero prezioso: la mia libertà. Una moglie si sarebbe sentita, per forza di cose, trascurata e di riflesso ne avrei sofferto anch'io. Lo ripeto, l'unico vero rimpianto è quello di non aver avuto un figlio".
Che rapporto ha con la fede?
"Mi sono avvicinato in modo particolare a Dio nei momenti più difficili della mia esistenza. La fede non mi è mai venuta meno, anche se non sono un cattolico praticante".
Di quali momenti parla in particolare?
"Uno di questi è stato la prematura scomparsa di mio padre. Poi c'è stata quella di mia madre, avvenuta nel 1974, che ha scavato nella mia vita un vuoto incolmabile. Negli ultimi suoi anni di vita si erano invertiti i ruoli, era diventata per me una specie di figlia fragilissima, da proteggere. Senza la fede in Dio mi sarebbe stato difficile riprendere dopo questi drammi la mia vita di sempre, fatta di viaggi e impegni stressanti accettando di relegare in un cantuccio il dolore. Ma c'è stata un'altra occasione in cui la certezza dell'esistenza di Dio, che può aiutarci, è stata determinante per la mia vita".
Di che si tratta?, domandiamo.
E' un fatto accaduto nel 1981 ed è la prima volta che ne parlo pubblicamente. Mi trovavo in Francia per seguire il Giro ciclistico. Un giorno fui assalito improvvisamente da dolori atroci, lancinanti al basso ventre e avevo necessità di recarmi spessissimo in bagno. Non so come riuscii a portare a termine il mio lavoro. Quando rientrai in Italia mi feci ricoverare. Mi sottoposi a esami radiologici da cui risultò che avevo delle masse tumorali alla vescica da asportare. Il medico che mi visitò, il professor Bracci, che è scomparso, non mi nascose che si trattava di un intervento difficile e che la guarigione non era sicura. Mi affidai completamente a lui. Riuscii a farmi operare senza far trapelare nulla all'esterno, poi trascorsi un lungo periodo di convalescenza chiuso in casa. Per cinque anni ho poi eseguito controlli periodici: per fortuna tutti hanno presentato un esito negativo. E' stato un momento difficile che ho superato anche grazie alla fede".
Come trascorre le sue giornate senza lavoro?
"Innanzitutto mi sveglio tardi al mattino. Mi concedo una buona colazione e poi, dopo una ventina di minuti di ginnastica, esco per fare una breve passeggiata. Compero i giornali, segue d'obbligo una puntatina dal barbiere per un'accurata rasatura. Dopo il pranzo al ristorante, passo il pomeriggio in casa e per la sera programmo un'uscita. Quest'estate mi concederò vacanze più lunghe senza derogare però alle solite abitudini: un po' di mare a Sorrento e la splendida cornice delle Dolomiti, a Selva di Val Gardena".
Non teme, passata la prima euforia, di cadere nella noia senza l'impegno del lavoro, soprattutto nelle domeniche pomeriggio?
"La noia non so che cosa sia, i miei interessi non mi lasceranno mai solo. Andrò al cinema, a teatro, ho molti libri da leggere. E poi ci sono le mie grandi passioni: giocare a scopone o al biliardo".
Marilù Simoneschi

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