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giovedì 18 maggio 2017
16:00

Calcio-Miracoli: Harvey Esajas - Cinque minuti per il riscatto

di Jacopo Ramponi e Filippo Bergamini per #tuttoilcalcioblog

Torna la nostra rubrica di storie con un'altra puntata avvincente. 

Mercoledì 12 Gennaio 2005, stadio Giuseppe Meazza, ottavi di finale di Coppa Italia, ci troviamo verso la fine di un Milan-Palermo dominato dai rossoneri, avanti 2 a 0 con reti di Cristian Brocchi e Jon Dahl Tomasson.
Mancano cinque minuti al fischio finale quando lo speaker di San Siro annuncia una sostituzione: esce il numero 23 Massimo Ambrosini ed entra il numero 30 Harvey Esajas.
Avevo dieci anni quando dal pavimento del mio salotto guardavo la televisione incuriosito:
“Papà ma chi è Esajas?”
“E’ un amico di Seedorf, faceva il lavapiatti”
E mentre interrogavo mio padre vidi quel corpulento numero 30 correre sulla fascia con un agonismo e una grinta incredibili, lo vidi portare avanti la palla e mettere al centro un cross pericoloso, allontanato dalla difesa del Palermo oramai esausta.
Questo è ciò che non dimenticherò mai di Harvey Delano Esajas.

Nato ad Amsterdam il 13 Giugno 1974, originario del Suriname entra a far parte delle giovanili del
glorioso Ajax nei primi anni 90, in cui condivide successi e gioie con Clarence Seedorf, Edgar Davids, Patrick Kluivert ed altri mostri sacri del calcio olandese.
“Era lui quello più bravo tra i due all’inizio”, dirà sorridendo proprio il Professore, suo grande amico.

Le strade dei due si separano quando Harvey approda all’Anderlecht per cercare fortuna nel calcio belga, per poi tornare nel ’93 in patria, esattamente al Feyenoord. E’ proprio contro l’amico Seedorf e contro il suo Ajax che avviene il suo debutto nella massima divisione, arricchito anche dal primo gol. Un’emozione incredibile per il difensore che però non troverà molto spazio: solamente 8 le sue presenze in tre anni.
E’ qui che inizia la sua parabola discendente, comincia a girare per le squadre dei Paesi Bassi in cerca di minuti e di fiducia, Groningen, Cambuur, Dordrecht, senza trovare né il campo e né la riconferma.
Nel 1999 Harvey decide di emigrare verso la Spagna, al Real Madrid, in cui verrà tesserato per la formazione B dei blancos, con la speranza di poter entrare nella prima squadra negli anni successivi; tutto ciò non succede e l’oramai venticinquenne finisce nelle divisioni inferiori spagnole, prima allo Zamora e poi al Mostoles.
Anche qui. purtroppo, non troverà il campo ma un brutto infortunio al tendine d’achille che lo metterà di fronte alla realtà: forse il calcio non potrà che rimanere un passatempo e, salvo in rari casi, di passatempi non si può vivere; Harvey è costretto a ripiegare su lavori saltuari:

“Mi ero ritirato dal calcio dopo un infortunio al tendine d’Achille. Avevo lasciato lo Zamora, nella terza divisione spagnola, e mi mantenevo facendo diversi lavoretti: ho aperto un negozio di dischi, poi ho fatto il barista”

Ebbene sì, il calcio ha accompagnato la tua infanzia, ti ha sostenuto nei tempestosi anni dell’adolescenza e ti ha tenuto per mano mentre diventavi uomo, come puoi abbandonarlo così? Siamo quindi nel 2002 quando Harvey Delano Esajas ci riprova. Alza la cornetta e chiama Edgar Davids, allora alla Juventus; l’amico capellone lo accoglie in Italia e lo ospita a casa sua, memore della loro amicizia nelle giovanili dell’Ajax. Nel belpaese il difensore olandese trova anche Clarence Seedorf che cercherà fin da subito di aiutarlo, proprio così otterrà l’occasione di mettersi in mostra: un provino col Torino.

Harvey riprende in mano le scarpe, le mette nel borsone e si presenta così davanti al direttore generale Sandro Mazzola. Anche qui purtroppo andrà male, soprattutto a causa del troppo peso accumulato negli ultimi periodi:

“Seedorf mi aveva telefonato raccontandomi dei problemi che aveva avuto questo ragazzo. Si era raccomandato affinché potesse avere una chance al Toro. Esajas rimase con noi per un mese: aveva buone qualità ma anche troppi chili in eccesso” dichiarerà l’ex leggenda nerazzurra all’epilogo della breve avventura.

Così, dopo l’ennesimo no il ragazzo viene nuovamente catapultato fuori dal mondo calcistico, l’unica porta che si spalancherà sarà quella di un ristorante.
Eppure dopo una miriade di rifiuti, di occasioni sprecate, quel matto di un lavapiatti non vuole arrendersi veramente senza averle provate tutte; a 29 anni e 110 chili di peso Harvey sogna ancora di poter fare il calciatore professionista e decide il tutto per tutto: riprende in mano quel maledetto telefono e digita il numero di Seedorf, che tanto gli è rimasto vicino in questo duro periodo.

E’ proprio qui che accade ciò di cui io, milanista dalla nascita, figlio, nipote e fratello di milanisti fatico ancora a realizzare. Clarence Seedorf racconta tutto ad Adriano Galliani e l’oramai ex amministratore delegato del Milan si convince a dare una possibilità a quel ventinovenne sconosciuto. Nel 2004 inizia la sua avventura con i rossoneri e gli viene concessa la possibilità di allenarsi a Milanello, la possibilità di condividere lo spogliatoio con gente come Nesta, Maldini, Pirlo, Shevchenko e Inzaghi (sì, esatto, lo dico con una punta d’invidia).

Sarà l’ambiente, sarà la vicinanza a realizzare il proprio sogno, Esajas si mette a lavorare a testa bassa e in undici mesi butta giù tutti i chili in eccesso, sorprendendo anche il preparatore atletico Tognaccini. Per premiare tutto questo impegno il Milan decide di tesserarlo e di fare così di lui un vero calciatore professionista.

Arriviamo quindi a quegli ultimi cinque minuti, l’esordio con la maglia rossonera, Ambrosini che ti dà il cinque, le luci di San Siro, i cori della Curva Sud e la meravigliosa sensazione di essere
finalmente arrivati. Mi piacerebbe poter tornare a quel momento, sedermi accanto al bambino di dieci anni che ero e godermi tutto ciò per cui il calcio ancora oggi mi emoziona.

Arriva il triplice fischio dell’arbitro Palanca e negli spogliatoi Harvey si lascia andare in un pianto di gioia, un pianto fanciullesco di rivincita, in un’emozione tanto intensa quanto semplice da descrivere.
25 Maggio 2005.
E’ così che mister Ancelotti decide addirittura di inserirlo nella lista dei convocati per la finale di Champions di Instanbul, la stramaledetta finale di Champions di Instanbul e il ragazzo assiste coi suoi occhi a ciò che ancora oggi molti non sono in grado di spiegare, una delle sconfitte più assurde della storia.
L’anno successivo molte squadre di Serie C sono interessate ad Esajas e lui sceglie di accasarsi prima al Legnago e poi al Lecco, dove prenderà la decisione di terminare questo incredibile viaggio nel mondo del calcio.

“Erano sette anni che stavamo cercando l’ opportunità che poi ci è stata data al Milan. Da parte mia ringrazio la società, l’ allenatore e la squadra per la fiducia che hanno avuto nelle mie parole, perché otto mesi fa le mie erano soltanto parole. Nessuno lo conosceva. Per me quella dell’altra sera è stata una grande emozione, una bella storia di calcio e di vita che ci insegna una cosa: non bisogna mai smettere di sognare.”
Clarence Seedorf

Ad oggi sorrido ancora al pensiero di questo difensore grande e grosso che non si è mai voluto dare per vinto, che ha pensato al campo anche quando pelava patate e lavava piatti chiuso tra quattro mura; perché se davvero esiste un Dio del calcio, se davvero ascolta le nostre preghiere, le nostre imprecazioni, le nostre grida… Bè stavolta ha voluto farci divertire per davvero.

Filippo Bergamini



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