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GIOVEDI 25 APRILE 2024
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ore 14:30 Pop Sport
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ore 19:55 Simulcast con Radio1Rai  
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giovedì 29 ottobre 2020

#TICBispirazioni 4 Quelli che…s’innamorano di Beppe Viola

#tuttoilcalcioblog 

Esistono figure mitologiche che invadono il mondo del giornalismo sportivo, in tempi in cui esistevano pochi canali tv e ugualmente tante trasmissioni sportive. Eccellere in quei tempi era sinonimo di una grandezza esagerata ma anche meritata. Beppe Viola era l’eccellenza.

Beppe Viola non è stato solo un giornalista sportivo, sarebbe riduttivo catalogarlo così, è stato semplicemente un genio, un paroliere, un umorista, uno sceneggiatore, uno che…con una faccia così…avrebbe fatto il botto ovunque.
“Da vent’anni dipendente della Rai-tv, passaporto italiano, militesente, presunto capo di famiglia numerosa, non soltanto ignoravo le regole del football americano, ma non mi era mai passato per la testa di assistere a una partita“.
Beppe Viola è stato parte integrante della Milano che non c’è più, quella che giocava ad indovinare, dalla faccia, la squadra del cuore di chi entrava in un bar, in un club, la Pasticceria Gattullo, che si denominava appunto “l’Ufficio Facce“, tavolo in cui si ritrovavano Cochi e Renato, Teo Teocoli, Enzo Jannacci, Boldi, Villaggio, Abatantuono e appunto il “genio di Milano“.

Ma non solo, Beppe Viola è stato uno che all’esame di Stato per diventare giornalista fu, in teoria, messo in difficoltà da Enzo Biagi, con la domanda: “Per lei, Fanfani nello schieramento della Dc, sta a destra o a sinistra?” con pacata risposta: “Dipende dai giorni“, prendi e porta a casa, il genio sta per arrivare nel mondo giornalistico.

In Rai, dopo oltre 20 anni, la sopportazione è reciproca, ma all’interno della tv ha solo due amici, Bruno Pizzul e Carlo Sassi, definito il “ragioniere alla moviola”, capendo da subito che per far carriera avrebbe dovuto “adulare” qualcuno dei piani alti, coniando così l’ennesima frase capolavoro: “Tengo duro per migliorare il mio record mondiale di mancata carriera“, e lo diceva sorridendo.

“Un’innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo si trovasse a produrre parole e pensiero“. Gianni Brera, 19 ottobre 1982.

La sua “mancata carriera”, non gli impedisce di essere redattore, radio e telecronista su calcio, pugilato e la sua amata ippica (celebri le gite all’ippodromo di San Siro, suo paradiso), sceneggiatore e dialoghista con l’inseparabile Jannacci, creatore di testi da cabaret

Impossibile, da casa, non amarlo, mentre più complicato nel rapporto con altri colleghi che mal sopportavano uno stile fuori dalle righe, atipico, che però solo Viola sapeva tenere e difficilmente era copiabile.

“Quello va in tv con la Lacoste sotto la giacca per prendere soldi dalla marca del coccodrillo“, altra accusa cui Beppe, senza troppi patemi d’animo, rispose: “Da oggi giacca e cravatta, così posso sudare di più e meglio“.
“Rompersi una gamba a pallavolo è come avere un infarto a Disneyland“
Tra i più grandi amici di Viola anche Gino Rancati, giornalista capace di far una reprimenda in diretta all’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, reo di esser in ritardo al gran premio di Monza (gara che non sarebbe iniziata sino alla presenza di Gronchi), dicendo per radio: “Chi occupa una carica di rilievo dovrebbe dare il buon esempio“. Licenziato in tronco il giorno dopo, per Viola Gronchi era semplicemente un mito.

Ora, in epoca pay tv dove ogni partita viene vivisezionata ciuffo d’erba per ciuffo d’erba immaginate questa scena: una partita è stata noiosa e anziché riproporvela nel servizio tv ve ne faccio vedere un’altra.

Ebbene, quella partita è stata La partita, ossia il derby di Milano, ma per Viola è stato un “autentico derbycidio, un derby noiosissimo” così, con mossa geniale (o sciagurata, dipende dai gusti), mandò in onda vecchi spezzoni di derby in bianco e nero, molto meglio, a detta sua, del triste spettacolo che 70.000 persone a cui avevano appena assistito.

“Vi farà meraviglia che io mi sia compromesso con una manifestazione del genere, ma sono un impiegato Rai con figlie a carico“, il suo commento ad una manifestazione sportiva lontana anni luce da ciò che amava, stile unico, arguto, difficilmente riproponobile senza far danni.
Il pugile al terzo round: “Come vado?”, l’allenatore, guardando l’avversario: “Se l’ammazzi fai pari”.
Tra lo humor di Viola non ha pari, con un faccione sornione che difficilmente uno prende sul serio ma che poi, appena conosciuto, non vorrebbe più farne a meno.
“Sarei disposto ad avere 37 e 2 tutta la vita in cambio della seconda palla di servizio di McEnroe”
Difficile far ironia sullo sport, pericolosissimo scherzare sul calcio, eppure Viola rendeva tutto naturale e dal libro “Quelli che…” del 1992, riproponiamo il “Beppe Pensiero”:

“Quando vengono al mondo i bambini ricchi parlano già quattro lingue, sono abbronzati e hanno le mèche. I bambini poveri fanno una fatica mai vista a farsi capire almeno fino all’età dei sei anni quando incontrano una maestra appena arrivata da Benevento che insegna loro l’amore per il prossimo. Rinuncio volentieri al vittimismo e ammetto pubblicamente che avrei potuto essere coi primi se mio padre non si fosse ballato ogni mese la paga di aviatore in un posto chiamato San Siro. In questo posto corrono i cavalli, alcuni vincono, quelli sui quali scommetteva mio padre, quasi mai. Ecco perché all’età di anni sei ho incrociato anch’io una maestra proveniente da Avellino. Per lei era già un successo essere arrivata a Milano, figurarsi se le poteva interessare l’insegnamento della matematica e di altri fastidiosi intralci che separano il periodo più bello della vita dal più difficile. Quando mia madre chiese spiegazioni sul fatto che io non sapessi contare fino a venti dopo due anni di scuola, la maestra rispose che ero proprio un bel bambino e che lei mi teneva dentro il cuore. Mia madre non si occupò più della scuola e io ne trassi grandi benefici. Appena fui in grado di giocare un pacchetto di sigarette a carambola con ottanta probabilità su cento di vittoria, la convinsi che il mondo della scuola era molto cambiato rispetto ai tempi suoi. “Non danno più le pagelle da firmare, né pretendono di incontrarsi coi genitori. C’è un metodo nuovo che assegna agli studenti la massima libertà. Sono loro che decidono quando andare e non andare a scuola, quando devono essere interrogati, vaccinati, rimandati.” Mia madre era una donna eccezionale. Lo capii una mattina quando venne a svegliarmi dicendo: “Fuori c’è una neve mai vista, fa un freddo cane. Fossi io te non andrei a scuola oggi. Meglio un asino vivo che un professore morto”. L’asino è vivo e vegeto, modestamente. Nel frattempo mio padre era andato a giocare sui cavalli del Venezuela per via di un licenziamento generale dovuto allo scioglimento della società aerea per la quale lavorava. Penso che mio padre abbia fatto bene a ballarsi i soldi sui cavalli perché se ne avesse lasciati in giro un po’ per casa li avrei fatti fuori io, magari al bigliardo dove, tra l’altro, si respira anche poco per colpa del fumo. Insomma a scuola non mi feci vedere per un bel pezzo, diciamo per l’intero anno. Ebbi il coraggio di meravigliarmi, anzi di scandalizzarmi, quando leggendo il risultato scoprii di essere stato respinto. “Ma come? Se non mi conoscono neanche? Avrebbero dovuto scrivere disperso, mica respinto.” Mia madre fu condita via con un “Le solite tre materie, mamma. Tranquilla anche quest’anno ce la farò.” Invece niente. Per colpa della madre di un mio compagno, venne a sapere la verità nel modo sbagliato. Una telefonata di vigliaccheria. “Ho saputo che suo figlio, signora Viola, è stato respinto. Mi dispiace molto.” Ho cominciato a credere nelle spie, nella cattiveria umana. Per mia madre fu un’offesa gravissima. “D’altra parte,” mi disse “sei troppo grande per essere anche intelligente. La Natura è giusta, distribuisce un po’ qua un po’ là. Il lusso chiamato scuola non ce lo possiamo più permettere. Trovati un posto e che Dio ti assista”. Il mio Dio si chiama Liverani Vito e fa il fotografo. Mi raccomandò ai redattori dell’agenzia giornalistica per la quale lavorava. Entrai a Sportinformazioni come collaboratore e poi fui assunto a trentamila mensili, comprese le domeniche, le ore notturne e tutte le altre feste del calendario. Conobbi giornalisti destinati poi a carriere rispettabilissime. A quei tempi però se la passavano male pure loro per via del padrone che non mollava una lira in più nemmeno sotto tortura. Lo chiamavano Babbone perché, a modo suo, ci voleva bene. Il modo suo era il seguente: il giorno in cui morì mia madre venne a casa mia per confortarmi. Mia madre spirò alle sette del mattino, lui si presentò alle nove dicendomi: “Guardi, caro Viola, che per dimenticare dolori tanto grandi c’è soltanto il lavoro. Venga in agenzia e vedrà che passerà tutto”. Andai in agenzia“.

Viola racconta le cose a modo suo e le racconta con una semplicità disarmante, senza aver bisogno di alzare la voce per attirare tutta l’attenzione.

“La Juventus produce successo, quindi invidia. Ricordo di un professore di filosofia, juventino nel sangue. Quando la Juventus perdeva, il lunedì entrava in classe di pessimo umore e passava immediatamente alle interrogazioni. La vittima era sempre la stessa, tale Angelo Balzarini, noto sostenitore interista. Il mio povero compagno viene massacrato dalle domande impossibili e soltanto il suo sacrificio tradotto sul registro dall’immancabile «due» riusciva a far tornare la serenità nell’animo del professore. Angelo, poco prima dell’inizio del terzo trimestre, passò in un club juventino e fu promosso con ottimi voti.“
Gigi Radice durante un allenamento del Torino: “Fuori i coglioni!”. Eraldo Pecci a Patrizio Sala: “Guarda che dice il Mister che devi uscire.”

Il Viola conduttore de La Domenica Sportiva non le mandava a dire se qualcosa andava storto, così un giorno, in diretta, sul mancato arrivo dell’arbitro Michelotti coniò un’altra perla giornalistica:
“Avevamo invitato l’arbitro Michelotti, la mamma ha detto di sì, ha detto di sì la moglie, e pure le figlie, ha detto di no Campanati, il suo presidente, e quindi Michelotti è rimasto a Parma a cantare”
Geniale, diceva Viola: “Quando sarò grande diventerò anche serio“. Non ne avrà il tempo, la sera di domenica 17 ottobre 1982 accusa un malore nell’ufficio di Carlo Sassi, nella sede Rai di Milano, mentre montava un servizio per Inter-Napoli de La Domenica Sportiva, ricoverto per emorragia cerebrale spira la mattina del 18, ad appena 42 anni.

Ciao Beppe e grazie per l’ispirazione!

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